User Tag List

Visualizza Risultati Sondaggio: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

Partecipanti
10. Non puoi votare in questo sondaggio
  • RUSSIA

    7 70.00%
  • CINA

    3 30.00%
  • IRAN

    1 10.00%
  • ALTRO

    2 20.00%
Sondaggio a Scelta Multipla.
Pagina 1 di 10 12 ... UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 99
  1. #1
    email non funzionante
    Data Registrazione
    06 Feb 2014
    Messaggi
    5,613
    Mentioned
    52 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Con quali stati vi alleereste per sconfiggere la globalizzazione mondialista e l'invasione allogena?

    •   Alt 

      TP Advertising

      advertising

       

  2. #2
    email non funzionante
    Data Registrazione
    06 Feb 2014
    Messaggi
    5,613
    Mentioned
    52 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Io cercherei l'alleanza con la Russia di Putin che ha dimostrato di essere uno scudo contro la globalizzazione capitalista e l'invasione allogena.

  3. #3
    email non funzionante
    Data Registrazione
    06 Feb 2014
    Messaggi
    5,613
    Mentioned
    52 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Sovranità e radici Così Putin seduce la destra europea

    I l primo Putin, quello che assume un po' fortunosamente e casualmente la guida della Russia nel 2000, si era concentrato sulle questioni economiche, tirando fuori il paese dal pantano di un'economia mafiosa e dal degrado delle condizioni di vita materiali; il secondo Putin pare concentrarsi sulla ricostruzione ideologica e morale.



    In realtà, è abile nel cogliere gli umori più profondi della società russa. Il sociologo Lev Gudkov, intellettuale di orientamento occidentalista e liberale, ammette che «già a partire dal 1995, iniziò un processo di rafforzamento del nazionalismo conservatore russo e della coscienza imperiale», fondata soprattutto sull'accusa rivolta ai riformisti «di tradire gli interessi nazionali e di resa dinnanzi all'Occidente».

    Nel 2001, «solo il 9 per cento dei russi» riteneva che un modello di democrazia occidentale fosse il più adatto allo sviluppo della Russia, a favore del modello liberaldemocratico si esprimevano soprattutto i gruppi intellettuali che vivono a Mosca e San Pietroburgo. La stragrande maggioranza della popolazione (43 per cento) pur ammettendo che la democrazia occidentale era in linea teorica un sistema virtuoso, riteneva che essa esigeva sostanziali modifiche nell'applicazione alla Russia. Una nutrita quota di russi (il 35 per cento), invece, si esprimeva in termini nettamente contrari nei confronti del sistema democratico occidentale, ritenendo che esso abbia «un effetto distruttivo sullo stile tradizionale della vita russa».

    La verità – come nota Borgognone – è che «la società russa nel suo complesso ha un approccio maggiormente improntato al tradizionalismo di quel che viene propagandato dalla pubblicistica liberale occidentale trendy, tendente a rappresentare in maniera stereotipata quanto farsesca i russi, nella loro maggior parte come oligarchi arricchitisi con le privatizzazioni criminali degli anni Novanta». Oltre a questa radice tradizionalista, le crisi causate dalle cosiddette «rivoluzioni colorate» e ancor più le «primavere arabe» hanno consolidato nei russi il desiderio di ordine ( poryadok ) e stabilità politica ( preyemstvenost ). Putin ha abilmente reinterpretato tutto ciò tendendo l'orecchio agli umori profondi della società russa. Tutti i giovedì arriva al Cremlino Vladislav Surkov, ritenuto il grande ideologo del Cremlino, già a capo dell'apparato amministrativo presidenziale ed ex vicepremier, dimessosi dopo uno scandalo ma rimasto ispiratore e suggeritore di strategie al punto che viene definito il «Rasputin di Putin». Surkov, nel suo appuntamento settimanale a cui ha dato un nume preciso, «Cosa pensa la Russia», sale sul podio e supportato da slide e grafici spiega a una ristretta e potente platea fatta di ministri e alti esponenti della nomenklatura, quali sono le tendenze dell'opinione pubblica. Surkov è l'inventore della nozione di «democrazia sovrana», del «rinascimento nazionale», estrema sintesi dell'azione politica di Putin e per questa sua vicinanza finirà nell'elenco degli «indesiderati» delle sanzioni occidentali.

    Di recente è stato pubblicato, anche in Italia, uno scritto inedito dell'autrice americana Virginia Woolf, L'anima russa , in cui, attraverso l'analisi della grande letteratura di Dostoevskij, «il grande genio che sta permeando la nostra vita», delinea le profondità dell'animo russo. La scrittrice di Orlando giunge ad affermare provocatoriamente: «I russi hanno l'anima, gli inglesi no». Si tratta, ovviamente, di raffinatezze intellettuali, ma possono aiutare a definire lo spirito russo. «È l'anima che conta, la sua passione, il suo tumulto, la sua sconcertante mistura di bellezza e infamia» annota la Woolf, «gli uomini sono allo stesso tempo malvagi e santi, i gesti sono insieme meravigliosi e deprecabili. Amiamo e odiamo contemporaneamente. Non c'è traccia di quella precisa divisione tra bene e male alla quale siamo abituati.»


    Queste idee lo stesso Putin le chiarirà in un importante discorso pronunciato al forum di Valdai del settembre 2013. «Oggi ci occorrono nuove strategie per preservare la nostra identità in un mondo che cambia rapidamente,» ha esordito «per noi (parlo dei russi e della Russia) le domande sul chi siamo e chi vogliamo essere sono sempre più in primo piano. È evidentemente impossibile andare avanti senza autodeterminazione spirituale, culturale e nazionale.»

    La competizione nel mondo non è solo di carattere economico-tecnologico ma c'è una sfida più sottile, quella «ideologico-informazionale» ricorda il neo zar. Per concludere con un appello che delinea bene il nuovo corso: «La Russia deve disporre di forza militare, tecnologica ed economica; ma la prima cosa che ne determinerà il successo è la qualità dei suoi cittadini, la qualità della società: la loro forza intellettuale, spirituale e morale. Alla fin fine, crescita economica, prosperità e influenza geopolitica derivano da tali condizioni della società. Se i cittadini di un dato paese si considerano una nazione, se e fino a che punto si identificano con la propria storia, coi propri valori e tradizioni, e se sono uniti da fini e responsabilità comuni. In questo senso, la questione di trovare e rafforzare l'identità nazionale è davvero fondamentale per la Russia».

    Accanto alla politica «imperiale» c'è un altro connotato che emerge negli ultimi anni nella politica di Putin. Nel 2014 ha voluto che al Cremlino fosse ospitato il «Forum internazionale delle famiglie numerose», sotto l'egida del Patriarcato, raccogliendo politici conservatori e rappresentanti di diverse Chiese di ben quarantacinque paesi. In quegli stessi saloni dove si predicava in epoca sovietica l'ateismo di Stato, si è parlato di «salute morale» e del ruolo che la famiglia riveste nella società. «Sono convinto che in queste condizioni sia grandemente importante», ha scritto nel saluto indirizzato al patriarca Kirill «restare fedeli alla tradizione spirituale e agli ideali morali che sono alla base della nostra patria e della nostra grande storia e cultura.»


    Carico di significati il dono che Putin ha portato in Vaticano a papa Francesco: un ricamo d'oro della chiesa di Gesù Salvatore, che fu distrutta in epoca sovietica e che è stata ricostruita.

    Seppure segnati da consenso e successi, non mancano alcune perplessità sugli ultimi anni di Putin. A cominciare da una stretta sui media e sulla loro libertà di espressione: una legge ha equiparato i blog diffusi su internet ai media tradizionali: se superano le tremila visite al giorno devono registrarsi a un ente governativo come testate giornalistiche. La riforma dell'Accademia delle Scienze, che anche in epoca sovietica godeva di una certa autonomia, ora è assoggettata per alcuni atti al governo. Così un'altra legge ha sancito che nel caso di cambio di residenza e di soggiorno, anche per qualche limitato periodo, bisogna darne comunicazione alla polizia. Questi sono fatti incontrovertibili, come lo è l'inquietante assassinio di Boris Efimovic Nemcov, fondatore dell'Unione delle Forze di Destra (Sojuz Pravych Sil), che però nessuno mette in relazione col Cremlino che, anzi, ne ha ricevuto un colpo d'immagine.

    Tuttavia, la rappresentazione che viene data spesso in Occidente, di una Russia senza opposizione è fuorviante. L'opposizione c'è in termini politici, c'è attraverso giornali, radio e la Rete. Lo ha dimostrato l'ondata di manifestazioni di piazza che ci sono state dal 2011 fino al maggio 2012, esauritesi per l'incapacità di disegnare un progetto alternativo, e anche il buon risultato elettorale del blogger Aleksej Naval'nij alle elezioni per la carica di sindaco di Mosca, dove l'esponente anti-Putin ha ottenuto il 27 per cento dei voti mentre il sindaco uscente Sergej Sobjanin, sostenuto dal Cremlino e dai principali media, si è dovuto attestare al 51,7 per cento. Un dato che ha contraddetto i sondaggi della vigilia, che indicavano Aleksej Naval'nij al terzo posto. Allo stesso modo, il miliardario Michail Prochorov si è potuto organizzare il suo partito, reclutando adepti fra gli scontenti della formazione di Putin.


    Ogni volta che Putin partecipa alla conferenza stampa di fine anno in una diretta tv della durata di circa tre ore, riceve da giornalisti stranieri, russi e dai telespettatori domande anche feroci, sulle morti eccellenti, sulle presunte persecuzioni, sugli scandali che hanno coinvolto questo o quell'esponente politico. In uno degli ultimi incontri c'è stato anche spazio per le vicende personali: alla domanda su come fosse la sua vita affettiva dopo la separazione dalla moglie Ljudmila, ha risposto: «Amo e sono amato». All'inizio del terzo mandato sono state varate importanti riforme: l'accesso dei partiti minori alla Duma abbassando la soglia di sbarramento dal 7 al 5 per cento; la semplificazione delle procedure burocratiche per la raccolta delle firme per i partiti che partecipano alle elezioni; il ritorno all'elezione diretta dei governatori.


    https://www.ilgiornale.it/news/polit...a-1192922.html

  4. #4
    email non funzionante
    Data Registrazione
    06 Feb 2014
    Messaggi
    5,613
    Mentioned
    52 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Il liberalismo è obsoleto … parola di Putin – Roberto Pecchioli

    L’intervista al Financial Times.
    Gli statisti si distinguono dai politici e dai semplici politicanti perché hanno in mente un progetto di lungo periodo e si impegnano con perseveranza a realizzarlo. Vladimir Putin può piacere o no, ma certamente fa parte della ristretta cerchia degli statisti. Non solo per la sua capacità di risollevare economicamente, politicamente, strategicamente e demograficamente la Russia, ma anche per essere divenuto un punto di riferimento internazionale, addirittura una speranza per una parte significativa dell’opinione pubblica europea. Resta insuperato il discorso di Valdai del 2013 in cui rivendicò le radici del suo popolo- continente e ripropose senza timidezza il modello di civiltà umanistica rispettosa delle identità, delle tradizioni spirituali, incardinata saldamente nei principi della legge naturale.

    Qualche settimana fa, Putin è forse andato oltre, attaccando frontalmente uno dei fondamenti dell’Occidente. In un’intervista al Financial Times, vangelo indiscusso dell’ortodossia economica, ha affermato con chiarezza che il liberalismo “è superato”. L’allarmato titolo del giornale amato dai mercati è stato ancora più tranchant, poiché ha usato il termine obsoleto. Sì, il liberalismo è superato ed obsoleto. In Europa, solo Viktor Orbàn, tra i politici, ha osato tanto, dichiarando di operare, in Ungheria, per una “democrazia illiberale”. Ma Orbàn dirige una piccola nazione e può essere ignorato. Putin no, le sue dichiarazioni fanno rumore, mantengono un’eco, tendono a propagarsi come cerchi nell’acqua. E’ dunque interessante verificare quel che ha davvero detto il presidente russo, riflettere seriamente sulle conseguenze e capire se ha ragione o torto.

    Innanzitutto, occorre ricordare che Putin, come responsabile politico di una potenza che sta risalendo faticosamente la china della storia, ragiona in termini russocentrici o eurasiatici; è cioè portatore di interessi strategici che non coincidono necessariamente con quelli del nostro pezzo di mondo. Tuttavia, le sue parole sono pietre e devono essere meditate alla luce dell’ultimo trentennio neoliberale, nonché delle prese di posizione di intellettuali importanti di distinto orientamento, come il suo connazionale Aleksandr Dugin, i francesi Alain De Benoist, Alain Soral, Jean Paul Michéa, il canadese Mathieu Bock-Coté, e poi Slavoj Zizek, gli americani Wallerstein, John Mearsheimer e altri.

    Il presente lavoro si articola in due parti, più una conclusione. Nella prima, esporremo i punti più importanti dell’intervista di Putin, nella seconda cercheremo di individuare le piste antiliberali disseminate dal pensiero più recente, tentando al termine della ricognizione di rintracciare spiragli per aiutare i popoli, la politica e il senso comune ad uscire dalla gabbia liberale. Gabbia in quanto la narrazione liberale mercatista descrive se stessa come unica, conclusiva della storia, non il migliore dei mondi possibili, ma l’unico, al quale non è pensabile né praticabile un’alternativa. Qui sta, a nostro avviso, il primo grande successo di Putin: aver posto, con tutta la forza della sua leadership, il liberalismo sullo stesso piano delle altre idee e forme di organizzazione della società. Riportandolo sulla terra dal piedistallo su cui si è collocato, paradossalmente, ha reso un servizio liberale.

    All’inizio, infatti, il liberalismo pensò se stesso come uno strumento pratico, un metodo più che un’ideologia. Nel tempo, si è confusa, o è stata fatta coincidere, la tendenza liberale con l’ideologia economica del mercato misura di tutte le cose, o, se preferiamo la formula marxiana, con il modo di produzione capitalistico. Scherzando, ma non troppo, potremmo concludere che, appiattito sulla dimensione economica della privatizzazione del mondo, considerato un unico mercato di scambi dominati dal calcolo razionale e utilitario, il liberalismo ha perso due lettere, divenendo semplicemente liberismo, ovvero il meccanismo di dominio planetario basato sulla gestione privata del potere – economico, finanziario, tecnologico- al servizio di un unico centro direttivo tecno oligarchico, che Lewis Mumford chiamò Megamacchina. Fatalmente, la Megamacchina si autoalimenta, espelle ogni ostacolo alla propria espansione illimitata, diventa scopo a se stessa e rade al suolo ogni principio, differenza, identità, radice spirituale, principio etico non compatibile con i propri fini di dominio.

    In questo senso, si è convertita nel contrario del suo principio originario. Ricordiamo un pensiero di José Ortega y Gasset: il liberalismo è l’idea che tutela le minoranze, anche le più deboli. Missione fallita, anzi rovesciata nel suo opposto, giacché la prassi liberale risolve tutto nel primato dell’economia e, al suo interno, dei grandi attori privati cui viene lasciato campo libero per dominare l’intera vita umana. La riflessione di Putin non si basa sulle dinamiche economiche negative, ma su una critica che in Francia definirebbero “societale”, ossia etica, antropologica, valoriale. E’ esattamente l’armamentario indispensabile agli avversari del moloch liberale per condurre una battaglia di idee, alimentare un’alternativa di civiltà che necessariamente deve affrontare il nodo gordiano del formidabile potere conseguito dai grandi agglomerati privati, in grado di esautorare gli Stati nazionali e troncare ogni politica di interesse pubblico. Ma la forza e l’importanza delle parole di Putin sta proprio nella capacità di opporsi all’idea malsana di libertà come assenza di limiti e principi che rende tanto pervasiva l’ideologia liberal- liberista.

    Interessante è il titolo completo scelto dal Financial Times per l’intervista: “Putin dice che il liberalismo è diventato obsoleto.” Splendida l’intuizione di un osservatore francese, Philippe Grasset: si tratta precisamente della struttura delle frasi che i bambini piccoli usano per raccontare alla madre ciò che il temuto ragazzo più grande ha appena detto. Il giornalone si mostra disorientato e ricorre all’accusa, al dito puntato come il ragazzino impaurito che chiede agli adulti di intervenire. Putin l’ha sparata grossa, va attaccato, punito e intanto smascherato di fronte a tutti. Sì, non è andato per il sottile, il Malvagio Globale di ghiaccio: “i suoi sostenitori [del liberalismo, N.d.R] non fanno nulla. Dicono che va tutto bene, che tutto è come dovrebbe essere. L’idea liberale è diventata obsoleta. E’ in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. Se c’è davvero un’ondata di populismo, questo è probabilmente il fallimento del consenso liberale. Le persone pensano di essere abbandonate e incolpano l’ideologia del liberalismo “.

    Non fa una piega; soprattutto, si pone al lato dei popoli e delle persone concrete e afferma con chiarezza che il liberalismo-liberismo è un fallimento per la vita dei più. Lo sperimentiamo sulla pelle, ma Putin è il primo grande leader ad affermarlo senza contorsioni verbali. La notizia è di quelle che cambiano la realtà: “l’idea liberale ha esaurito la sua utilità perché non serve più ai bisogni della maggioranza dei popoli. “La chiave è nel plurale, popoli. Tutti diversi, ognuno con la sua specificità distrutta dall’identico liberista, che conosce solo economie di scala, produzioni uniche, idee uniche, taglie uniche. Se esistono i popoli, è perché sentono vivi i principi di nazione, comunità e famiglia, perché avvertono se stessi come diversi dagli altri, ciò che il liber(al)ismo aborre e stritola. Il mondo può ancora cambiare, se un protagonista internazionale osa affermare che l’idea liberale è morta. A bassa voce, sembra che non sia solo: “i nostri partner occidentali hanno ammesso che alcuni aspetti dell’idea liberale non sono realistici, come il multiculturalismo. Molti di loro hanno riconosciuto che non funziona e che dobbiamo pensare anche agli interessi delle popolazioni autoctone”.

    Attaccare il multiculturalismo è un peccato capitale, poiché è una delle architravi dell’intero edificio globalista. L’idea è che genti diverse possano convivere nel medesimo spazio senza problemi in assenza di principi, valori, modi di essere condivisi; il conflitto sarebbe spento dall’adesione comune al consumo, al mercato, all’idea dello scambio razionale misurabile con il criterio universale del denaro e del profitto. Sappiamo per esperienza diretta che non è così; il liberalismo, strumento pratico per eccellenza, mostra il suo lato oscuro utopico, anzi distopico nel momento in cui realizza il suo programma, una luccicante Babilonia omogeneizzata di soggetti/oggetti diversamente identici in corsa senza posa privi di meta.

    L’idea liberale, osserva Putin, è sopravvissuta al suo scopo, che era fornire un impianto di regole pratiche per governare il conflitto nelle società complesse, accettando il principio del pensiero libero e dichiarando che la maggioranza, formata attraverso procedure stabili e periodicamente verificata, ha sì il diritto di dirigere la società, ma non ha ragione per il fatto di essere provvisoriamente tale, né possiede il diritto di schiacciare dissidenti ed oppositori. E’ il presupposto, fa capire Putin, ad essere errato. “I liberali non possono più permettersi di dettare le regole come hanno fatto negli ultimi decenni” perché laisser faire, laisser passer, lasciar fare, dare mano libera all’ipotetica società civile è in realtà consegnare il mondo senza limiti a un grumo di potenti. Immigrazione, folle apertura dei confini, libertà di merci e capitali, distruzione delle consuetudini e delle forme di economia non mercatista sono nell’interesse di costoro, non certo dei popoli, delle comunità e delle persone comuni.

    Putin viene al nocciolo: “questa idea liberale presuppone che non sia necessario fare nulla. “ Tutto si aggiusterà da sé, nell’interesse di pochi: una follia. Che la lingua batta dove più duole, ovvero sul problema migratorio, è sottolineato da Putin con un’osservazione che i liberali d’antan avrebbero sottoscritto senza esitare: nelle società liberali “gli immigrati possono uccidere, saccheggiare e violentare restando impuniti, perché i loro diritti in qualità di migranti devono essere protetti. No, ogni crimine deve avere la sua punizione.” Permissivi con qualcuno in nome del buonismo o dell’imbroglio multiculturale, si finisce per diventare tali con tutti, lasciando senza protezione il corpo sano della società. Questo genera “il conflitto con gli interessi della travolgente maggioranza della popolazione”. Sorprende in positivo la lucidità di Putin nel rivolgersi agli interessi dei popoli, concretamente, evitando di citare esplicitamente principi permanenti come legge e ordine, la supremazia della dimensione pubblica del potere, uniti alle identità nazionali e religiose. Questi valori funzionano da secoli, sono convenienti in quanto rendono la vita migliore, offrono continuità, sicurezza, stabilità materiale e società coese, penetrando come un’onda benefica nella quotidianità.

    I governanti occidentali, rivela Putin, non sono soddisfatti del presente stato di cose, ma non cambiano perché servi del dogma liberale, lasciar fare alla società, cioè ai poteri forti estranei al popolo! “Stanno nei loro confortevoli uffici mentre quelli che affrontano ogni giorno i problemi non sono felici. Qualcuno pensa a loro? Dicono che non possono perseguire una politica intransigente per una serie di motivi. Perché esattamente? Solo perché è così, c’è la legge, dicono. Quindi cambino la legge!” Qui Putin scopre un altro nervo scoperto dei nostri tempi, la sovranità ceduta ai poteri esterni, alle oligarchie del denaro, della tecnica, ai padroni dell’intrattenimento che fa opinione, che hanno svuotato la democrazia riducendola all’impotenza, quindi all’inutilità. E’ la realizzazione del programma liberale: dimensione pubblica minima e priva di valore, tutto il potere alle oligarchie private, eufemisticamente chiamate “società civile” e ai loro interessi, procedure obbligate, governance impersonale.

    La pretesa liberale contestata da Putin è quella di dettare le regole in nome di una superiorità indiscutibile, un postulato cui è vietato opporsi. Ne scaturisce un misto di intolleranza verso gli altri sistemi di pensiero e di arrogante disprezzo per i dissidenti, in conflitto con la conclamata tolleranza di cui il liberalismo si ammanta. In più torce l’idea di libertà in una prospettiva individualista, nemica di ogni identità comunitaria, ostile a qualsiasi afflato spirituale, un materialismo gaio quanto impenetrabile. La conseguenza è l’utilitarismo elevato a regola unica, con i rapporti socio economici lasciati alla legge del più forte, ovvero agli “spiriti animali” di un modo di produzione, quello capitalista, elevato a unico stile di vita. Di qui l’abolizione dei confini, fisici, legislativi e morali e la fuoriuscita dai modi di vita che hanno costituito e improntato i popoli per secoli e millenni.

    Putin sembra l’unico leader a cui importano le radici. Così si esprime: “viviamo in un mondo basato sui valori tradizionali della Bibbia. Non dobbiamo dimostrarli tutti i giorni, ma dobbiamo averli nei nostri cuori e nelle nostre anime. In questo modo, i valori tradizionali per milioni di persone sono più stabili e più importanti di questa idea liberale che, a mio avviso, cessa di esistere”. Si tratta di un altro punto essenziale, in cui Putin coglie la natura distruttiva della prospettiva neo-liberale, impegnata soprattutto a decostruire per riconvertire la persona in consumatore e individuo teso esclusivamente al guadagno, all’utile e al piacere. L’arma più potente è la confusione dell’identità personale sotto il profilo sessuale. Afferma di non comprendere le trasformazioni, anzi “trans formazioni” in atto.

    Quanti sessi ci sono, si chiede, evitando di utilizzare l’equivoco neologismo “genere”, ribadendo il divieto di propaganda in Russia per l’omosessualismo, specie se rivolta ai minori. “Giù le mani dai bambini” è la forte risposta di Putin all’invadenza del mondo LGBT tanto popolare in Occidente. “Si dice ora che i bambini possono giocare cinque o sei ruoli di genere. Non posso nemmeno dire di che razza di idea si tratta, ma questo non deve oscurare la cultura tradizionale, le tradizioni e i valori familiari dei milioni di persone che costituiscono il nucleo della popolazione”. Incredibile all’orecchio occidentale del Terzo Millennio: un capo politico si rivolge alla gente comune, a chi vive e veste panni, difendendola dalle ubbie da cui sono aggredite, ribadendo la legge naturale, perfino in nome di quella Bibbia sulla quale pure continuano a giurare i politici anglosassoni.

    La riflessione di Vladimir Putin va oltre: “penso che le idee puramente liberali o puramente tradizionali non siano mai esistite. Tutto finisce rapidamente in un vicolo cieco se non c’è diversità. Tutto alla fine diventa estremo in un modo o nell’altro. Le idee e le opinioni diverse devono avere la possibilità di esistere e manifestarsi, ma allo stesso tempo gli interessi del pubblico in generale, di questi milioni di persone e delle loro vite non dovrebbero mai essere dimenticati. Quindi, mi sembra che potremmo evitare grandi sconvolgimenti politici. Questo vale anche per l’ideologia liberale. Penso che smetterà di essere un fattore dominante, ma non significa che debba essere immediatamente distrutta. Anche questo punto di vista dovrebbe essere trattato con rispetto. Però non possono dettare niente a nessuno, come hanno cercato di fare negli ultimi decenni. Vediamo diktat ovunque: nei media e nella vita reale. È persino considerato indegno parlare di alcuni argomenti. Ma perché? “

    Una domanda senza risposta, tranne quella dell’assolutismo del pensiero liberale, chiuso nella prigione del divieto pratico di diversità delle idee. Putin usa la parola diversità per farci cogliere la contraddizione: “tutto finisce molto rapidamente in un vicolo cieco se non c’è diversità “, ovvero il liberalismo nega la sua ragione iniziale, perché nessuna distinzione di idee è accettata per non riconoscere la diversità delle comunità e dei valori, al fine di imporre un nuovo senso comune. Tale atteggiamento ricorda l’intransigenza dei bambini nel difendere le loro idee, l’insistenza testarda nel rifiuto di ogni sfumatura, la riduzione del pensiero immaturo a diktat indiscutibili, capricci, umori intolleranti, irritazione violenta verso le contro argomentazioni: liberalismo come totalitarismo infantile.

    Nello specifico, le reazioni scomposte alla sola possibilità che la doxa liberale divenuta obbligo possa essere oggetto di critiche, mostrano lo scompiglio nella cucina del potere, schierato in blocco contro Putin, l’eretico che osa discutere il sacro corano liberale che, dall’alto di se stesso, non accetta sfide né critiche. Accettano qualsiasi cosa, tutto lasciano passare – quello è il loro obiettivo finale – ma diventano totalmente intolleranti quando le loro convinzioni vengono messe in discussione. Se il liberalismo è una specie di Eden conquistato attraverso il progresso materiale, nessuno può revocarlo in dubbio senza porsi, eo ipso, fuori dal consesso della Civiltà, dell’Umanità, del Bene.

    Spiacente, signor presidente russo, i liberali non sono qui per consentire punti di vista diversi. La società è aperta solo per i suoi tifosi. Un pensiero difforme può portare a una riflessione, ad esempio se il liberalismo sia diventato un soffocante dogma ideologico, ma non c’è alcuna possibilità, nel mainstream dell’Occidente malato, che possa avvenire una relativizzazione dell’ideologia liberale, una critica dell’inganno circa l’idea di libertà. Il vero interesse, l’autentico respiro storico dell’intervento di Putin è di aver seminato il terrore – una confusa ma palpabile sensazione di vulnerabilità – tra i chierici del liberismo. Il mostro incantato, o diavolo incarnato, è odiato perché ha avuto l’audacia di mettere in discussione la “cosa sacra”, il dogma liberale, tanto potente ma così fragile da non sopportare sguardi critici, un edificio di menzogne che può crollare perché circondato dalle termiti, una struttura apparentemente inattaccabile, ma totalmente marcia all’interno.

    Putin non funziona come capro espiatorio, sacrificato il quale torna il sereno, secondo l’intuizione di René Girard: è un osso troppo duro da rodere con la guerra preventiva, abbastanza popolare da non essere demonizzato come altri nemici veri o presunti della democrazia liberale, cioè degli interessi oligarchici occidentali. E’ un leader, finalmente, che abbiamo dalla nostra parte, pur con tutti i distinguo del caso, il portatore di un pensiero alternativo, di una fiammella per alimentare la resistenza.

    Il metodo dialettico ha insegnato a cogliere le contraddizioni del pensiero avversario per indebolirlo dall’interno e allargarne le crepe. La fenditura di cui Putin è simbolo cresce come il rilievo di pensatori dissidenti in grado di arrivare al grande pubblico, fornire strumenti etici, culturali e pratici per dare sangue e carne alla lotta contro il leviatano liberale, obsoleto, superato, ma fortissimo. Ne analizzeremo le idee nel successivo capitolo.

    Le idee sulle gambe degli uomini.
    Il liberalismo è superato e obsoleto, dice Putin, ma soprattutto è pericoloso. Esaltato del successo, divora se stesso. Nato per garantire spazio alle diversità, alla varietà benefica delle culture, per regolare le istituzioni, riconoscere un ruolo alla spirito religioso, proteggere il diritto delle minoranze, offrire un quadro certo di diritti e doveri garantiti dallo Stato nazionale, difendere ma non assolutizzare la proprietà privata, si è trasformato nel suo contrario. La logica disgregante ha preso il sopravvento per il tramite del primato dell’economia, unica “struttura” alla quale sottomettere tutto. I più coerenti tra i liberali liberisti, come Friedrich Von Hajek, riconoscevano che il sistema avrebbe potuto funzionare e riprodursi senza scosse solo all’interno dei valori “conservatori”. Trasformato nella legittimazione culturale del darwinismo sociale (l’economia basata sulla la legge del più forte come metafora della “lotta per la vita”), il liberalismo ha perduto il realismo di Raymond Aron, Lord Acton e José Ortega e si è spostato a sinistra sul piano dei valori etici con la stessa velocità con la quale si è ancorato a destra sul versante delle scelte economiche e finanziarie.

    Dimentico di giganti come Tocqueville, avversario intransigente della massificazione imposta da una democrazia “quantitativa”, ha assunto le sembianze della nuova sinistra intellettuale affermatasi a partire dalla fine degli anni 60. Spiega un geostratega della scuola realista, John J, Mearsheimer, che il difetto di fondo dei liberali contemporanei è la credenza in una superiorità irriducibile, un sentimento misto di vulnerabilità e arroganza che favorisce l’intolleranza nonostante l’enfasi posta sul suo contrario. Ne è prova il pensiero di Karl Popper, teorico della società aperta che suggeriva la massima chiusura verso i suoi avversari. La vittoria nei confronti del comunismo dagli anni 90 del XX secolo ha spinto gli Stati Uniti, nazione guida del liberalismo, a creare un sistema globalizzato, attraverso il potere dei monopoli privati e l’imposizione delle regole liberiste con lo strumento delle istituzioni transnazionali da essi dominato: Organizzazione Mondiale del Commercio, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Onu, e la Nato, trasformata in alleanza militare “globale”.

    Di qui la fine del liberalismo classico, trasformato in liberismo, con l’accento posto su un’idea di libertà fondata sul soggettivismo più estremo. La libertà liberale è ormai intesa come liberazione da identità collettive e principi comunitari. Il nuovo liberale non appartiene che a se stesso, svuotato dall’appartenenza a una nazione, a un gruppo etnico, a un ceto o classe sociale, a una credenza religiosa, a una cultura. E’ la condizione ideale per essere travolto dalla forza delle mode, dell’ingegneria sociale, dell’industrializzazione del desiderio, del consumo centro dell’esistenza. L’universo neoliberale è apparentemente liquido (atomi solitari che nuotano in un mare in continuo movimento), in realtà è ferrea schiavitù ai padroni del mondo, titolari dei “mezzi di produzione”, delle tecnologie più pervasive e della “narrazione” esistenziale, tesa a formare l’individuo libero di seguire le proprie inclinazioni, anche le più basse, ridefinite “diritti”.

    Il liberale liberista contemporaneo diventa libertario e libertino in quanto deve emancipare l’individuo da ogni retaggio, a partire da quelli imposti dalla natura e dalla biologia. Per lui la democrazia è rivendicazione continua di diritti, esclusi quelli sociali. La prassi realizza un predominio dell’economia di monopolio privato senza freni il cui esito è la dipendenza dalle oligarchie proprietarie. Nemico di ogni limite o frontiera, tende necessariamente all’Unico: governo unico mondiale, mercato unico, gusti unici, lingua unica, anche sesso unico. L’essenza totalitaria sfugge a moltissimi in nome dell’apparente ampia scelta che propone. E’ il contrario, poiché le opzioni ammesse sono sempre interne; il supermercato delle idee è simile a quello dei prodotti di consumo: il banco espone mille etichette diverse del medesimo prodotto.

    Gli illiberali.
    L’opposizione è sparsa e incapace di un minimo comune denominatore. Tuttavia, esiste e avanza nel deserto. Interessante è la visione di un intellettuale “alla moda”, lo sloveno Slavoj Zizek, vecchio dissidente ai tempi della Jugoslavia che si autodefinisce, con una punta di civetteria, leninista. La sua opposizione al liberalismo si basa sulla difesa delle tradizioni popolari e sul fastidio per la mistica dei diritti umani, che definisce espressione di un’ideologia post borghese, un tic da benestanti. E’ così: la sostituzione della rivendicazione dei diritti sociali con la richiesta continua di diritti “umani”, definiti invariabilmente espressione di civiltà, non è altro che la variante individualista della lotta di classe. E’ un ritorno alle origini, alla rivoluzione francese e alla sua tronfia dichiarazione dei diritti dell’uomo. Possiamo senz’altro affermare che l’ossessione per i diritti “umani” è il tratto fondamentale del liberalismo del XXI secolo, distruttivo dello stesso imperio della legge, vanto del liberalismo classico. Il cammino, con il lessico di Fernand Braudel, è ormai proiettato nella longue durée. Immaniel Wallerstein osserva come il sistema attuale è unico nella storia e corrisponde all’ ” economia – mondo” di cui il liberalismo è la copertura teorica.

    L’avversario più radicale dell’attuale stato di cose è Aleksandr Dugin, lo studioso russo legato anche all’Italia. Per lui il liberalismo è il nemico principale, trasformato in strumento di oppressione economica e sociologica, assurto a religione, pensiero unico e dogma della globalizzazione. La novità di Dugin è il tentativo di situare ad un livello superiore, metastorico e metapolitico, la battaglia antiliberale. Afferma con forza: “la guerra delle idee deve essere portata sul piano dello spirito, si potrebbe dire in quello metafisico. E’ la lotta dell’uomo contro l’egoismo individualista; è la lotta della comunità contro la disgregazione della società; è la lotta per la sovranità delle persone e delle nazioni contro la dissoluzione dei singoli e degli Stati. “Impressiona la ritirata della sinistra politica (se la segnaletica del passato ha ancora un senso), il suo posizionamento dal lato liberale, sedotta dal sentimentalismo buonista e dall’emotività a buon mercato sparsa a piene mani dall’orchestra culturale liberale. Attraverso il patrocinio di ogni minoranza e di qualsiasi pulsione ridefinita diritto, è facile cadere nella trappola di una libertà illusoria.

    Rovesciando Benjamin Constant, occorre tornare alla libertà degli antichi, che era volontà di partecipazione diretta e di decisione senza mediazione, demistificando la libertà dei moderni, che non è altro che assenza, liberazione, chiusura nel recinto individualista, nel permaloso ritornello dei diritti e, politicamente, primato di una democrazia vuota, dominata dai rappresentanti, come capì già Rousseau, a loro volta asserviti a chi comanda davvero, ovvero i signori del denaro. Viviamo di procedure, scatole vuote, nell’attesa disperante che i conclamati diritti dell’uomo siano superati da quelli del cyborg. Ci avviamo alla disumanizzazione, prodromo della liberazione dall’uomo. L’imperativo è tornare al popolo, alla sua concretezza, per Dugin l’Esserci (il Dasein di Heidegger), esistere, vivere, qui e adesso immersi nella storia, nella memoria, nella cultura e nell’identità.

    Dugin accusa il liberalismo di essere contro il popolo, di usurparne il concetto, derubricandolo a un aggregato informe di individui, anziché “un insieme organico, un’entità esistenziale.” In quest’ottica, perde valore la distinzione destra-sinistra, un crinale che fa assai comodo al giudizio liberale, che demonizza ogni dissidente con le categorie incapacitanti di ieri: fascista, nazista, stalinista, comunista, a cui ha aggiunto il definitivo “terrorista”. Padroni della narrazione, dispensano definizioni che escludono non solo dallo spazio pubblico, ma dall’appartenenza al consorzio civile.

    Dugin ha un ulteriore merito, quello di dialogare, tenendo ferme le sue posizioni di pensatore cristiano immerso nella Tradizione, con chiunque condivida la critica al globalismo liberale. E’ essenziale annodare i fili di un difficile percorso con ogni avversario dell’ordine vigente, denunciando il razzismo gnoseologico delle élite liberali, che “considerano sottosviluppato chi crede in qualche Dio”. Ecco un altro elemento del liberalismo contemporaneo, il materialismo radicale, mutuato da quello dialettico di ascendenza marxiana, greve, chiuso al dialogo, arcigno custode di una asserita superiorità intellettuale. La conseguenza pratica è la tendenza irresistibile all’Identico, alla realizzazione di quell’uomo a dimensione unica che fu l’unica intuizione positiva di Herbert Marcuse. Multipolarismo, eurasiatismo, rispetto per la tradizione, spiritualità, identità, comunità di popolo, democrazia diretta, diventano così altrettante armi da imbracciare contro la reductio ad unum neoliberale.

    Accanto all’ esistenzialismo cristiano, l’Esserci di Dugin, Quarta Teoria Politica in quanto superamento di liberalismo, comunismo e fascismi, avanza per chiarezza e acutezza pratica il pensiero di Alain De Benoist, sodale, collaboratore e mentore di Dugin in Occidente. L’esponente più rappresentativo di quella che fu la Nuova Destra è forse il critico più puntuale del liberalismo, e la sua polemica in nome dell’illiberalismo merita di essere approfondita e posta alla base di un pensiero alternativo. Per De Benoist nel liberalismo l’uomo si concepisce come individuo disinteressato alla relazione con altri uomini nel contesto sociale. Egli è il proprietario unico di se stesso, mosso esclusivamente dall’interesse particolare. Louis Dumont, in Homo aequalis, lo definisce in contrapposizione alla persona, “essere indipendente, autonomo e perciò essenzialmente non sociale”. La concezione liberale oscilla tra la dimensione soggettiva e il concetto astratto di umanità, eliminando ogni corpo o appartenenza intermedia, dunque occorre innanzitutto riformulare l’idea di cittadinanza. La democrazia illiberale ipotizzata da De Benoist è la dottrina che separa l’esercizio classico della democrazia dai principi dello Stato di diritto. La sovranità e la democrazia vi giocano un ruolo essenziale, ma non si esita a derogare ai principi liberali quando le circostanze lo esigono.

    La democrazia liberale è in realtà la maschera dell’oligarchia economica finanziaria estranea al popolo, tendenzialmente corrotta, una macchina elettorale al servizio dei più astuti, regno degli “esperti”. In tale cornice le nazioni e i popoli non hanno più i mezzi per farsi ascoltare. La stessa sovranità è una parola vuota se mancano per legge – l’ordoliberalismo che penetra e impregna i codici giuridici – gli strumenti per far valere la volontà popolare. Di più: il liberalismo diventa una sequenza di procedure predefinite, che finiscono per dissolvere la coesione sociale e vietare la riproduzione dei valori comuni. Le procedure e i codici affidano ad agenti esterni – finanza, alta dirigenza economica, organizzazioni transnazionali – tutti i poteri. Che senso ha la sovranità, popolare o nazionale, se è rimosso il potere costituente e negato il diritto al cambiamento? L’intuizione “illiberale “di De Benoist “è che il giusto principio non è l’uguaglianza tra gli uomini, ma tra l’uguaglianza politica tra cittadini.

    Il ragionamento reagisce alla logica inaugurata da Benjamin Constant, secondo cui tra le “libertà dei moderni” c’è un’autonomia tanto assoluta da divenire diritto di ritrarsi, disinteressarsi della dimensione pubblica. “Il suffragio obbedisce alla regola un cittadino, un voto, non un uomo, un voto”. Di qui l’importanza fondativa di sapere chi è cittadino e chi no. L’illusione liberale di abbattere le frontiere territoriali insieme con ogni altra distinzione diventa quindi il centro dello scontro. Il popolo non ha ragione né torto, ma decide e la definizione di libertà come assenza di costrizione (Hobbes, Constant, Locke) è errata, va sostituita dalla possibilità di partecipare “alla definizione collettiva degli indirizzi politici e dei vincoli sociali. Le libertà, sempre concrete, si applicano a campi specifici e a situazioni particolari.” .

    Per il liberalismo, al contrario, la dimensione politica- ovvero lo spazio pubblico comune – è solo una “sfera”. Esso sostiene che la sfera economica deve essere autonoma dalla politica per ragioni di efficienza – la falsa credenza della perfezione del mercato lasciato a se stesso – e per motivi antropologici, giacché la libertà economica affrancherebbe dal “potere sociale”. Economia come regno della libertà, sfera indipendente dalla politica, il cui unico scopo è garantire i cosiddetti diritti dell’uomo, soggettivi, dichiarati naturali ed imprescrittibili. Tali diritti, per il liberale, prevalgono sulla sovranità, che può e deve essere derogata se li contraddice. La democrazia è confusa con lo Stato dei diritti, attraverso cui il principio liberale si rovescia nel suo opposto, “un movimento verso un’uguaglianza sempre più grande, sinonimo di medesimezza.”

    Lo Stato di diritto così inteso dissolve la politica sotto l’effetto corrosivo della moltiplicazione infinita dei diritti, che, invocati in continuazione, per lo più come sinonimo di desideri, capricci, stati d’animo, paralizzano la democrazia, impediscono la decisione. Un altro francese, Jean Louis Harouel, è convinto che l’ipertrofia dei diritti perverte lo scopo per cui erano nati, diventando una gabbia per la libertà. I diritti dell’uomo si convertono in religione secolare suicida per gli occidentali confusi alla ricerca di un orizzonte pseudo-metafisico in cui credere. La legittimità cede il passo alla semplice legalità, al diritto positivo che muta continuamente per seguire la domanda (e l’offerta) di diritti. La sostituzione della politica con i diritti è la leva con cui il liberalismo si è impadronito del potere per consegnarlo ai nemici dei popoli. Infatti, se l’individuo è l’unico sovrano, il popolo non gode di alcuna legittimità e il potere reale viene raccolto dal più forte nella sfera che conta, quella economica e finanziaria.

    De Benoist enuncia un concetto chiave: se non è riconosciuta valida alcuna decisione che leda i principi liberali o l’ideologia dei diritti dell’uomo, il liberalismo ammette tranquillamente che la volontà dei popoli non venga rispettata. La realtà quotidiana dimostra la veridicità dell’intuizione, che affonda nel concetto di rappresentanza. Il potere politico non ha il compito di dirigere – quello spetta alla “libera” sfera economica e finanziaria degli interessi formalmente in competizione con la legge del più forte – bensì di rappresentare. La democrazia liberale finisce così per fare a meno del démos, democrazia senza popolo. Infine, se nulla si colloca tra l’umanità e l’individuo, culture, religioni, costumi, popoli, Stati, territori non sono che aggregati provvisori destituiti di valore. L’umanità non è un concetto politico: lo capirono i comunitaristi americani dell’ultimo scorcio del secolo passato. Per Michael Sandel il mondo non è un universo, ma un pluriverso, per cui “i principi universali sono incapaci di fissare un’identità politica comune”.

    E’ proprio ciò cui tende il liberalismo: depoliticizzare l’uomo, allontanandolo dalla sua natura di animale politico, componente attivo di comunità che ne definiscono l’appartenenza su diversi piani. La narrazione liberale entra in crisi, significativamente, sul concetto di cittadinanza in presenza di forti pressioni migratorie, che impongono frontiere, la determinazione precisa di chi è fuori e chi è dentro, giacché la democrazia, qualsiasi forma assuma storicamente, implica l’esistenza di una società politica delimitata da un territorio, formata da un popolo legato da comunanza di destino e condivisione di valori. Il multiculturalismo è l’obiettivo liberale perché polverizza definitivamente le comunità, assoggettandole alla governance, cioè a una sorta di amministrazione dall’alto, tesa a un singolare ossimoro, l’organizzazione dell’illimitato. Il limite definisce una misura; l’illimitato è la dismisura che diventa anche indistinzione, accumulazione senza fine, la valorizzazione continua del valore (Marx), in cui ogni ostacolo deve essere abbattuto o negato. E’ il liberalismo contemporaneo a essere illiberale, suggerisce De Benoist.

    Ne è convinto un giovane studioso canadese francofono, Mathieu Bock-Coté, per il quale siamo in presenza di un processo storico che porta alla realizzazione della civiltà egualitaria. Il paradosso è che l’unica uguaglianza vietata resta quella delle opportunità economiche. Per Bock-Coté ciò che va posto in discussione è l’ideologia economica che permea ogni aspetto del vivere, accompagnata da un progetto di civiltà espresso nell’immenso movimento “progressista” sviluppato a velocità stupefacente. Liberalismo è la parola omnibus per esprimerne l’essenza. La rottura, quando ci sarà, avverrà sul versante dei principi. La democrazia liberale contemporanea è inseparabile dallo sviluppo dei monopoli privati. La diversità rivendicata come diritto dispiega un processo storico di riconoscimento di categorie sociali o identitarie discriminate che irrompono nella vita pubblica per affermare il loro diritto all’uguaglianza. Tante singolarità diversamente identiche sotto l’ombrello dei diritti umani, unite dal primato delle emozioni sull’ordine morale, un cambiamento profondo di civiltà che non si può arrestare senza rivolgersi contro se stesso.

    L’autodistruzione sembra il destino della società liberale, e ne rappresenta il fascino più potente agli occhi degli occidentali, formati al relativismo senza freni. Dalla dissoluzione delle nazioni all’abolizione dei confini, dalla decostruzione delle appartenenze tradizionali e dalla mancanza di differenziazioni di ruoli e di sesso, dalla disincarnazione di padre e madre, ridefiniti come genitori 1 e 2 intercambiabili (e anche 3 o 4), tutto corre verso un cambio di civiltà. Gli ex cittadini sono trattati come una popolazione da formattare terapeuticamente. Essenziale, per Bock-Cotè, è il ruolo della filosofia della decostruzione; Deleuze, Foucault, Guattari, Derrida, i pilastri negativi della postmodernità, risolta in una frammentazione infinita di soggettività, icasticamente visibile nella sigla pansessuale LGBTQI+, estesa alla Q (queer), alla I (intersexual) cui è aggiunta la variabile +, presente anche nel simbolo del transumanesimo. Mobilitano tutte le risorse dell’alfabeto e dell’immaginazione in un processo tendente all’ entropia, cioè all’autodistruzione.

    Conclusione
    Il progressismo non è il pretesto, ma lo scopo definitivo dell’ideologia liberale, grazie al suo carattere affermativo (i diritti, il primato delle emozioni), alla sua dimensione morale invertita che inclina all’anarchia etica, all’indifferentismo dei valori. L’utopia iperliberale è l’indispensabile copertura della sua follia economica (il progetto di dominio delle oligarchie private) e la mania dell’uguaglianza “diversitaria” ne è la liturgia moralistica. La contraddizione è enorme come la fragilità psicologica dei suoi seguaci più recenti, l’estenuata, diafana generazione “fiocchi di neve” (snowflakes), e fa presumere che il presente sia il fragoroso preludio del crollo finale.

    Lo storico delle civiltà Arnold Toynbee, tutt’altro che un nemico dell’Occidente, giacché lavorò a lungo negli apparati riservati britannici, al termine della ricostruzione morfologica di almeno venti civiltà diverse, prese atto che i grandi cambiamenti tecnologici furono sempre un elemento di svolta storica. Questo è ancora più vero adesso, con la potenza tecnica divenuta devastante, in mano a colossali gruppi privati che dominano sugli Stati, potenzialmente incontrollabile per la sua inestricabile complessità.

    Il mondo liberale vive il suo momento di maggiore successo, ma se ne intravvedono le crepe nella crescente incapacità di rispondere alle domande di protezione, benessere e stabilità di gran parte dell’umanità. L’opposizione intransigente che dobbiamo animare avrà successo non se riuscirà a esprimere un diverso modello socio economico, ma se metterà in campo un universo valoriale alternativo, tratto dalla tradizione, dall’anima profonda di ciascun popolo e dalla concreta rivolta ideale di milioni di esseri umani in cerca di riscatto dalla condizione di individui /oggetti, desiderosi di riappropriarsi della dimensione di persone, cittadini, membri delle loro comunità, e se recupererà la dimensione spirituale che ha abbandonato gli uomini d’ Occidente per la prima volta in millenni di storia.

    Occorre un rinnovato “principio responsabilità”, nei confronti del creato, della specie, del futuro, un ritorno sereno al reale, al limite, al senso dell’esistenza, all’apertura alla trascendenza e un orizzonte di vita concreta che non si esaurisca nella drammatica triade produci, consuma, crepa, secondo volontà e tempi dettati dai gruppi dominanti. La libertà è una cosa seria, come la vita: bisogna sottrarla alla ragnatela liberale. Abbiamo idee e forze; manca drammaticamente la capacità di unirle, di andare oltre il brusio indistinto, incapace di diventare rumore di fondo. Soprattutto, serve una radicalità intransigente, l’obiettivo di rovesciare il tavolo, il coraggio di provarci in mancanza del quale tutto si risolverà, al massimo, nel cambiare le sedie a sdraio sul ponte del Titanic, servire Pepsi anziché Coca Cola.

    A cura di Roberto Pecchioli

  5. #5
    email non funzionante
    Data Registrazione
    06 Feb 2014
    Messaggi
    5,613
    Mentioned
    52 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    L’Europa ha un nemico: gli Stati Uniti d’America


    Quando è nato l’imperialismo americano? Gli storici sono concordi nell’indicare una data: il 1823, quando l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, James Monroe, affermò solennemente la “dottrina” che da lui prese il nome. In verità, la cosiddetta Dottrina di Monroe fu di fatto un documento di politica estera – dal sapore chiaramente intimidatorio – diretto ai governi europei, diffidati dall’ingerire nelle questioni delle Americhe (del Nord e del Sud); questioni che il governo di Washington pretendeva essere di propria esclusiva competenza.

    Nel tempo, le veline della propaganda a stelle e strisce hanno ammantato di nobili ideali anticolonialisti la Dottrina di Monroe. Ma, in realtà, si trattava solo di una manifestazione di prepotenza, diretta principalmente a sostituire lo storico colonialismo europeo nell’America Latina con il nuovo colonialismo yankee, certamente più predatorio e – nonostante le apparenze – più liberticida del precedente.

    L’Europa accettò quel diktat senza fiatare (pur essendosi in piena epoca colonialista), e così gli Stati Uniti furono lasciati liberi di sottrarre il Texas al Messico, di instaurare un protettorato di fatto nell’America Centrale e Caraibica, e di installare nell’America del Sud tutta una serie di governi-fantoccio, civili o militari che fossero. Da allora e fino ai nostri giorni, i pochi oppositori realmente pericolosi sono stati abbattuti da provvidenziali golpe (come l’argentino Peròn) o strangolati dagli embargo (come il cubano Fidel Castro).

    Ma quel che non veniva compreso dall’Europa dell’Ottocento (e stendiamo un pietoso velo sull’Europa di oggi) era che, alla pretesa di incontrastata supremazia USA sul Continente americano, non faceva riscontro un parallelo disinteresse per le vicende del Vecchio Continente. Anzi, una volta ricostituito lo storico legame di sostanziale complicità con la madrepatria coloniale (l’Inghilterra) gli Stati Uniti presero ad ingerire sempre più pesantemente – per interposta nazione – negli affari europei.

    L’obiettivo primario della politica americana era – ed è tutt’ora – la possibilità di accedere liberamente al ricco mercato europeo, inondandolo con la mole della loro produzione agricola, dei loro manufatti industriali e – non ultimo – dei loro capitali. Quando, accampando una propaganda “ideologica” smaccatamente bugiarda, gli USA decisero di intervenire nella Prima Guerra Mondiale – e quindi di interferire violentemente negli equilibri europei – un Presidente sommamente arrogante come Woodrow Wilson ebbe l’impudenza di esplicitare questo progetto, enunciandolo a chiare lettere nel 3° dei sui famosi “Quattordici Punti”: «Soppressione, fino al limite estremo del possibile, di tutte le barriere economiche, e creazione di condizioni di parità nei riguardi degli scambi commerciali fra tutti i paesi che aderiranno alla pace e si uniranno per il mantenimento di essa.» Era una chiara richiesta di ciò che ai nostri giorni si chiama “globalizzazione”; e che, oggi come ieri, ha il solo scopo di favorire sfacciatamente l’economia americana a detrimento di quella europea.

    Allora l’operazione non riuscì, perché tutte le nazioni europee – pur continuando a litigare fra loro – furono concordi nel non offrire il collo alla mannaia del boia. Tuttavia, le ingiustizie di Versailles e degli altri trattati di pace furono propedeutiche allo scoppio di una nuova guerra mondiale. E, ancora una volta, gli Stati Uniti intervennero a gamba tesa nelle cose europee, determinando con la loro potenza economica pure l’esito del nuovo conflitto.

    Tuttavia, neanche questa volta Washington riuscì ad imporre le sue regole al mondo intero. E vennero perciò gli anni della “guerra fredda”, una sorta di terzo conflitto mondiale (ancorché non dichiarato) con il quale gli USA misero alle corde e poi definitivamente sconfissero lo scomodo alleato della guerra precedente, la Russia sovietica.

    A partire dall’ultimo scorcio del secolo scorso, infine – una volta rimasta l’unica superpotenza militare del pianeta – l’America ha iniziato la battaglia finale per la conquista dell’Europa. E lo ha fatto, anche questa volta, con falsa riluttanza, mandando avanti certi suoi alleati mediorientali o, talora, le strane “fondazioni” di alcuni iperattivi filantropi miliardari. È questo sottobosco che ha teorizzato, ispirato, armato e finanziato le “rivoluzioni colorate” americaniste ai margini dell’ex impero sovietico (Serbia 2000, Georgia 2003, Ukraina 2004, Kirghizistan 2005) e poi le “primavere arabe” del 2010-2011 (Tunisia, Libia, Egitto, Siria, eccetera) con il loro brutale sèguito di guerre civili, terrorismi, fondamentalismi, stragi e torture. Ultima espressione di questa infernale mistura è un assai misterioso ISIS, il simil-Stato cui è stato assegnato il còmpito di minacciare l’Islam sciita (Iran, Iraq, Siria, Libano, eccetera) e – attraverso una escrescenza libica – l’Europa meridionale.

    Nulla di tutto questo, naturalmente, trapela dai documenti ufficiali. Anzi, apparentemente gli Stati Uniti d’America continuano a svolgere il ruolo di grandi alleati e di grandi protettori dell’Europa. Ma, stranamente, hanno impiegato tutta la loro potenza militare solo contro i regimi arabi laici che non nuocevano ai nostri interessi (dall’Iraq di Saddam Hussein alla Libia di Gheddafi), mentre hanno riservato soltanto punture di spillo contro l’ISIS mediorientale, e neanche quelle contro l’ISIS libico.

    C’è poi il capitolo – pure questo misteriosissimo – dell’invasione africana (camuffata da migrazione “spontanea”) che minaccia i confini dell’Europa. Si tuona contro gli scafisti, contro i mercanti di uomini che lucrano sull’ultimo tratto di viaggio dei migranti; ma nulla si dice e, tanto meno, si fa contro coloro che – nei paesi d’origine – propagandano la migrazione verso l’Europa e organizzano le carovane che attraversano mezza Africa prima di raggiungere l’ultima tappa in Libia o in Marocco. Come mai? Forse perché, se si andasse alla ricerca degli originari input della migrazione clandestina, si potrebbe scoprire che il primo anello della catena non è africano ma – chessò – americano?

    Anche qui, le mie sono soltanto opinioni, per di più “eretiche”. Ma non posso fare a meno di osservare come tante tessere comincino a trovare una loro collocazione all’interno di un vasto mosaico che va componendosi: la nascita di un terrorismo islamico dall’inconfondibile puzzo di petrolio, le avanguardie di una migrazione africana dagli effetti imprevedibili, l’agitarsi di israeliani e sauditi per frantumare gli Stati medioorientali (Iraq, Siria, Libano), la sanguinosa provocazione ukraina che potrebbe sfociare in un conflitto armato, e – ultimo non ultimo – l’aggressione della globalizzazione finanziaria contro gli equilibri economico-sociali del pianeta.

    Al centro di questo mosaico, l’Europa. Tutto intorno, una gigantesca operazione militar-finanziaria che mira a destabilizzare il Vecchio Continente, a precipitarlo nel caos, a isolarlo dai suoi potenziali alleati dell’est e ad esporlo agli attacchi dei suoi nemici del sud.

    Ogni tanto, qualche “voce dal sen fuggita” lascia trasparire l’ostilità dell’establishment statunitense nei confronti dell’Europa. Come i ripetuti attacchi al nostro ormai smantellato sistema sociale; un sistema che – pur se ridotto all’osso – conserverebbe ancora pericolose tracce di “socialismo”. O come i pressanti inviti ad aprire i nostri confini all’immigrazione, più di quanto non siano già spalancati.

    Naturalmente, queste reprimenda non provengono ufficialmente dal governo americano, ma da centri di potere, fondazioni, comitati, think-tank, lobby finanziarie e organismi in un modo o nell’altro vicini all’intelligence; per tacere, ovviamente, di quegli autorevoli quotidiani che “fanno opinione” e che, spesso e volentieri, svolgono il ruolo di portavoce ufficiosi della politica americana “che conta”. Prendete il più autorevole di tutti, il “New York Times”, un giornalone che il è modello massimo da cui traggono ispirazione i valvassori del giornalismo politico di casa nostra. Ecco la sua ricetta per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina: «smantellare la Fortezza Europea, aprire strade legali all’immigrazione». Gli americani, però, hanno costruito un muro anti-immigrati alto 4 metri, che corre lungo tutto il confine col Messico.

    Ma torniamo al nocciolo della questione: agli americani non è mai andato giù che l’Europa si difendesse, che si facesse “fortezza”. A loro serve un’Europa “aperta”, indifesa, buonista e citrulla, magari a tal punto rincoglionita da non accorgersi di chi, dietro le quinte, manovri per asservirla ai propri scopi.

  6. #6
    Moderatore
    Data Registrazione
    22 Apr 2009
    Messaggi
    11,499
    Mentioned
    87 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Ho votato altro, perché informandomi ultimamente sembra sempre più lampante che oggi realtà veramente indipendenti dal sistema, dalla globalizzazione finanziaria e digitale non c'è ne sono.
    La Russia, se pur posso simpatizzare a livello personale per il suo presidente, è una cleptocrazia mafiosa dove hanno molta predominanza gli affaristi ebrei e certe sette ebraico-sioniste.
    La Cina è l' avanguardia per un mondo senza libertà dove l' uomo è schiavizzato attraverso la tecnologia, con una violazione della natura stratosferica. Fu creata infatti dai globalisti.
    L' Iran pare essere uno strumento dei gesuiti.
    Cuba è diventata aperta al globalismo. La Corea del Nord è uno stato prigione dove sarebbero vietati i rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Il Venezuela pare gestito da una cosca corrotta e con Nicolas Maduro appartenente alla setta religiosa dei Sai Baba.
    Forse posso salvare un pò la Bielorussia e la Siria, non ne sono sicuro.
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

  7. #7
    Super Troll
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Località
    abroad
    Messaggi
    74,244
    Mentioned
    1256 Post(s)
    Tagged
    43 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Citazione Originariamente Scritto da Avanguardia Visualizza Messaggio
    Ho votato altro, perché informandomi ultimamente sembra sempre più lampante che oggi realtà veramente indipendenti dal sistema, dalla globalizzazione finanziaria e digitale non c'è ne sono.
    La Russia, se pur posso simpatizzare a livello personale per il suo presidente, è una cleptocrazia mafiosa dove hanno molta predominanza gli affaristi ebrei e certe sette ebraico-sioniste.
    La Cina è l' avanguardia per un mondo senza libertà dove l' uomo è schiavizzato attraverso la tecnologia, con una violazione della natura stratosferica. Fu creata infatti dai globalisti.
    L' Iran pare essere uno strumento dei gesuiti.
    Cuba è diventata aperta al globalismo. La Corea del Nord è uno stato prigione dove sarebbero vietati i rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Il Venezuela pare gestito da una cosca corrotta e con Nicolas Maduro appartenente alla setta religiosa dei Sai Baba.
    Forse posso salvare un pò la Bielorussia e la Siria, non ne sono sicuro.
    maduro con Sai baba? Non sapevo
    La Russia è la potenza che garantisce tra queste un percorso diverso rispetto alla mondializzazione selvaggia, mentre la Cina è come cadere dalla padella alla brace
    Peccato che la potenza economica russa non è paragonabile alla Cina o agli USA, ma piuttosto alla Francia

    L'Italia dovrebbe mettersi a capo di un'alleanza econoica Mediterranea-Russo-Turcofona, assieme alla Spagna, Portogallo, Turchia, Grecia, e Russia e poi oltre nei paesi ex sovietici come l'Azerbaigian, il Turkmenistan, l'Uzbekistan e fare politiche parallele, questi paesi adorano il made in Italy e si potrebbe esportare un fracco di roba e avere petrolio e gas a prezzi di favore

  8. #8
    Forumista
    Data Registrazione
    21 Oct 2018
    Località
    Sovranismo, populismo, euroscetticismo
    Messaggi
    793
    Mentioned
    17 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Avrei votato tutte le 4 scelte ma per farvi capire meglio cosa penso, e già lo sapete, ho scelto soltanto la Cina.

    Riguardo alle critiche: per me non è dannoso se c'è più controllo da parte del governo, penso che vada a vantaggio di tutti, io voglio infatti più sicurezza e ordine e la Cina è un paese con pochissima criminalità.
    Voglio un paese dove i cattivi siano puniti e i buoni siano premiati. Non voglio la libertà di fare tutto quello che voglio o quasi, sennò sarei filo-USA o filo-UK. Non voglio neanche essere schiavo ovviamente, ma sono sicuro che lo diventerò in Italia se continuerà a governare il CSX, voglio un grado di libertà intermedio e la Cina è proprio la nazione che fa per me, una nazione che si impegna per i suoi cittadini, per risolvere problemi come la povertà, la disoccupazione, il sottosviluppo, la criminalità etc. ben vengano le telecamere nelle strade o cose simili.
    Questo è uno stato che fa per me.

    Xi Jinping è davvero un bravo leader e il suo obbiettivo, come potete leggere da tantissimi articoli è fare del bene al suo popolo, salvarne l'identità e rendere grande la Cina.
    La Cina ha precisato tante volte che è per la globalizzazione economica (il traffico di merci era presente anche in Germania nazista e nell'Italia fascista), ma non è globalista perché si impegna per la sua comunità di popolo. Infatti combatte la democrazia liberale attivamente. E se la Cina in futuro potesse diventare molto forte potrebbe sconfiggere la democrazia liberale nel mondo e ne guadagneremmo.

    Avrei votato tutte le scelte, come sapete le mie nazioni preferite sono la Cina e la Bielorussia. Nazioni che combattono attivamente la democrazia e le elites.
    Se avessimo vissuto nella Germania nazista o l'Italia fascista sono convinto che avremmo sperimentato una diminuzione della libertà, che è la stessa che c'è in Cina, sono limitate le libertà cattive come quella di fare del male agli altri. Penso quindi sia una critica ingiusta quella che la Cina "controlla" i suoi cittadini e non penso affatto che sia come cadere dalla padella alla brace.

    Le altre nazioni che vedo positivamente sono quelle più o meno autoritarie e quelle che combattono la democrazia liberale e i (presunti) diritti umani, che sono il male dei nostri tempi.

    Russia, Iran, Gruppo di Visegrad (soprattutto Orban in Ungheria), Turchia di Erdogan, paesi del centro-asia (Turkmenistan, Kazakistan etc.), alcuni paesi arabi di destra (Arabia saudita etc.), alcuni paesi del sud-est asiatico (Indonesia, Malesia etc. che sono democratici ma sono ancora onesti). Apprezzo anche la Nord Corea, ma avrebbe bisogno di un leader migliore. Storicamente apprezzo Nasser, Gheddafi e Hussein. Oltre a ciò supporto tutti i partiti di destra/estrema destra nel mondo, a patto che siano onesti.

    Non sto invece dalla parte di Maduro in Venezuela. Perchè se una persona rende il 90% del suo popolo povero e fa scappare dal suo paese milioni di persone direi che si dovrebbe dimettere e lasciare il posto a qualcuno più capace.

    PS. io penso che la Cina di Xi Jinping sia nazional-socialista, diversa da quella di Hitler ma per me non è importante. Vi invito a leggere più articoli sulla Cina di Xi Jinping, se vi dovesse capitare...
    Xi Jinping è il nemico numero uno di Soros -->
    https://www.ilsole24ore.com/art/davo...perte-AEjM2eLH

  9. #9
    email non funzionante
    Data Registrazione
    06 Feb 2014
    Messaggi
    5,613
    Mentioned
    52 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Per me Putin resta il punto di riferimento.
    é stato attaccato dal bidè
    Ha aiutato i siriani contro U$A e sionisti
    Ha sconfitto i ceceni islamici in Russia
    Si è ripreso la Crimea...gli altri non hanno fatto francamente nulla.

  10. #10
    Forumista
    Data Registrazione
    21 Oct 2018
    Località
    Sovranismo, populismo, euroscetticismo
    Messaggi
    793
    Mentioned
    17 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Alleanze geopolitiche per sconfiggere la globalizzazione

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Per me Putin resta il punto di riferimento.
    é stato attaccato dal bidè
    Ha aiutato i siriani contro U$A e sionisti
    Ha sconfitto i ceceni islamici in Russia
    Si è ripreso la Crimea...gli altri non hanno fatto francamente nulla.
    Mi sono accorto che nel titolo c'è la parola "globalizzazione" e non "globalismo", per alcuni è la stessa cosa ma per altri come me "globalismo" è il contrario di "sovranismo", sebbene hanno aspetti in comune non sono la stessa cosa.
    Secondo me non tutta la globalizzazione è male, ad esempio la diffusione delle conoscenze scientifiche oppure il traffico di merci sono aspetti positivi.
    Altri aspetti come il controllo di un elites sul mondo, le organizzazioni internazionali (UE, ONU, Unesco etc.), la finanza internazionale, il multiculturalismo, il progressismo etc. sono cose negative (globalismo).

    Fate conto come se nel post precedente avessi parlato di quale alleanza geopolitica è la migliore per sconfiggere i globalisti.
    Xi Jinping è il nemico numero uno di Soros -->
    https://www.ilsole24ore.com/art/davo...perte-AEjM2eLH

 

 
Pagina 1 di 10 12 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 20-06-14, 00:18
  2. Disinformazione e strategie geopolitiche
    Di Sabotaggio nel forum Destra Radicale
    Risposte: 5
    Ultimo Messaggio: 01-09-08, 13:12
  3. Disinformazione e strategie geopolitiche
    Di Sabotaggio nel forum Politica Estera
    Risposte: 7
    Ultimo Messaggio: 01-09-08, 12:42
  4. Analisi geopolitiche
    Di Lorenzo nel forum Politica Estera
    Risposte: 15
    Ultimo Messaggio: 11-01-05, 13:40

Tag per Questa Discussione

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
Change privacy settings